martedì 18 agosto 2015

Della morte, dell'amore

Riporto questo articolo perchè lo ritengo chiarificatore e pregno di un importante insegnamento. Inoltre contiene informazioni sui diversi punti di vista delle varie scuole e tradizioni, che possono essere utili al ricercatore che si trovi spaesato in mezzo al mare di teorie e concetti che queste filosofie portano con loro.

Non da ultimo, l'esperienza e la testimonianza in prima persona di Ed Muzika, un maestro realizzato, va oltre la mera comunicazione letterale.

Non preoccupatevi se non vi è tutto chiaro subito. Cogliete quello che vi risuona e ritornatevi sopra in un secondo momento se ne avvertite il bisogno.

Buona lettura :)



La morte dell'ego

Edward Muzika (Edji) risponde a uno studente


Studente – Consentimi una domanda sulla natura dell’ego, come può morire
ciò che non esiste?



Edji:

È probabilmente a causa della celeberrima testimonianza di Ramana sulla propria esperienza d’illuminazione, che egli percepì come una morte fisica, che è diventato abbastanza comune pensare che l’entità conosciuta come ego, io o me debba morire all'interno dell’esperienza di risveglio.

Almeno, questa è la verità che si racconta in alcuni circoli dell’Advaita.

Ma se esaminiamo quest’esperienza da vicino, vedremo che Ramana parla di 
una morte immaginaria del proprio corpo e che non collega quest’esperienza di morte a qualcosa di più profondo, come all'io o al me. Infatti egli dice che la prima esperienza che si deve cercare nell’autoindagine è l’esperienza dell’Io-Io, ossia il senso di connessione tra il piccolo io della persona e il Sé. Perciò l’esperienza del piccolo io è un sentire, non un’entità, e questo sentire va e viene.

Robert Adams quando parlava della sua esperienza di risveglio diceva che il suo senso di sé si espanse fino a riempire l’universo percepito ed essere identico ad esso. C’era fusione con la totalità dell’universo da lui percepito, ma non parlò mai della morte di qualcosa. Egli cioè vedeva la propria natura essenziale fusa con la totalità, e quindi ritornava alla coscienza ordinaria, ma con la fantastica conoscenza di non essere umano né di essere un corpo.

I buddisti della scuola più antica, la theravada, parlano dello “spegnersi del 
desiderio”, del diventare un vaso vuoto, ma nel buddismo non esiste nessun sé che muoia. I desideri e le vasana [le tendenze nascoste del carattere] devono
essere sradicate attraverso la pratica prolungata, ma non c’è nessun sé che muoia. Il sé non è altro che un fascio di impressioni – pensieri, emozioni,
sensazioni, immagini, ricordi ecc. – legate insieme alla meglio all’interno della mente.

Da nessuna parte nello zen si può trovare il concetto di morte dell’ego. Ciò che si trova è l’enfasi ad abbracciare la totalità del momento senza interferenze della mente.

Nel libro di David Godman vi è il racconto di come Nisargadatta si accertò che un allievo di nome Rudi avesse raggiunto la piena illuminazione, riversando quindi lodi su di lui. Nel racconto i due si sfidarono [discutendo sull’illuminazione], fino a che Nisargadatta non pose a Rudi la domanda: “Il risveglio non è veramente completo fino a che tu non muori, non è così?”. La risposta di Rudi fu la stessa che avrei dato io. Egli disse: “Come puoi dire cose del genere? È tutta un’illusione, che cosa dovrebbe dunque morire?”

Ora mi chiedo, cos’è che quelli che fantasticano sulla morte dell’ego sperano di ottenere da questa esperienza? Essi devono avere un concetto o un’idea delle conseguenze della dissoluzione delle loro stesse fantasie; si tengono cioè aggrappati al concetto di qualche stato trascendentale che deve esistere e che è altro da ciò che essi conoscono nella quotidiana dissoluzione dell’ego che tutti sperimentano (specialmente chi pratica la meditazione), o che in qualche modo è diverso nella permanenza. Ma non è questa idea nient’altro che una fantasia? Quale tipo di esperienza soddisferà la brama prodotta da una fantasia?

Si può ottenere molto presto lo stato di meditazione chiamato nirvikalpa samadhi, in cui il senso dell’io e del corpo scompaiono e quindi si sperimenta l’unità col mondo. Questo samadhi, una volta che sia stato sperimentato spesso nel corso degli anni, diventerà presumibilmente sahaja samadhi, ossia la dissoluzione permanente dell’individualità e l’entrare in un costante stato di unità e di fusione.

A Robert fu spesso chiesto se sperimentasse il mondo in questo modo, in una completa fusione. “Ovviamente no.” era la sua risposta, “Non potrei funzionare se non vedessi il mondo come lo vedete voi”.
Allora mi chiedo, cos’è che questi ricercatori della dissoluzione permanente del loro sé fantasioso [ossia non realmente esistente] cercano? Cos’è che cercano se non la permanente espansione dello stato temporaneo di non-io che si ottiene in meditazione? E a quale scopo? Qual è il beneficio d’essere in un qualche stato di dissoluzione dell’ego invece di entrare e uscire da questo tutti i giorni?

La stessa domanda vale per l’illuminazione stessa. Cos’è che le persone pensano sia l’illuminazione quando ricercano il risveglio? Ne hanno qualche pallido indizio, o è tutta fantasia? Quale tipo di esperienza soddisferà questo fantasioso desiderio?
In coloro che credono in una qualche esperienza di morte permanente del sé c’è il desiderio, o la fame, per un’esperienza non ancora conosciuta o per un fantasticato completamento.

Vedete, esperienze di fusione, esperienze della completa morte del sé, nel 
senso che l’io e la mente scompaiono, sono estremamente comuni e facili da ottenere in meditazione. Tuttavia la normalità continua sempre a tornare dopo ogni esperienza di non-sé. Cioè, la mappa interiore del sé e degli altri oggetti e concetti ritorna, permettendovi di funzionare nel mondo.

Nello zen lo sforzo non è diretto verso il trascendere l’ego, o sé personale, attraverso la morte, ma nel porre fine al suo predominio e nell'integrare entrambe le esperienze del sé e del non-sé nella vita quotidiana. Tale integrazione avviene sedendo quietamente in meditazione e leggendo le scritture nello zen soto, o attraverso un intenso lavoro sui koan [nello zen rinzai] che va a integrare vari aspetti dell’esperienza del non-sé in un corpo di conoscenza, il quale viene assimilato dallo studente come esperienza zen, o vita zen.

Quando ero un neofita studente zen e sperimentavo la totale dissoluzione di qualsiasi senso di sé molte volte al giorno, ero solito chiedermi quale dei due stati fosse reale. Era vero lo stato di unione, del sé/non-sé [ossia un sé non individuato, che non è un io individuale] e della dissoluzione del personale che trovavo nella meditazione profonda, dopo che la mente era stata lavata via come acqua che sparisce in un tombino e si rimane senza pensieri, senza sé, e completamente fusi col mondo? O era vero lo stato della mente ordinaria a cui ritornavo dopo ogni stato senza mente? A quel tempo non potevo concepire che questi due stati fossero ugualmente reali e irreali, dato che erano esperienze così diverse, e si presentavano in modi così diversi. Io ero convinto che dovesse essere reale o l’uno o l’altro dei due.
Solo parecchio tempo dopo, nel 1995, scoprii che erano entrambi irreali; persino lo stato di unità non è reale. È evidente che quello stato [di unione] appare “a me”; ma io sono al di là della coscienza e completamente separato da essa.

In quello stesso anno ebbi un’esperienza di risveglio mentre facevo la doccia. Io rivolsi la mia attenzione dentro di me e mi chiesi “Chi è che sente l’acqua scorrere su questo corpo?”. Mi ero già chiesto domande simili decine di migliaia di volte, ma questa volta, in questo stato mentale ordinario, guardai dentro e vidi il vuoto interiore che stava sempre lì… e vidi che non c’era nessun “io”. Vidi che non c’era nessuna entità, nessuna persona, nessun Ed che prendesse possesso di quell'esperienza. Il vuoto stesso era permeato da una consapevolezza non centralizzata che osservava, priva di pensieri, l’acqua che batteva sul corpo.
Che sbalorditiva esperienza. Scoprii che la parola io non aveva alcun ente né oggetto concreto a cui riferirsi. C’era solo un unico vuoto che racchiudeva sia l’interno che l’esterno, senza alcuna distinzione tra loro. Non ero il mio corpo ma ero dappertutto – permeando l’universo che era il mio corpo – la totalità della mia esperienza nell'immediata presenza, senza separazione.
Vedevo come la parola “io” si riferisse a un concetto vuoto. Non c’è un io e non c’è un non-io; non essendoci un io all'interno, non c’è neanche un non-io all'esterno. La distinzione tra interno ed esterno scomparve; la coscienza non aveva più distinzioni e permeava tutto. Tutte le parole erano vuote; tutte le forme erano assorbite nella vacuità, ed erano prive di qualsiasi sostanzialità e permanenza. Io, qualsiasi cosa fosse, non ero reale; tutto quello che percepivo, pensavo e sentivo non era reale.
Non c’era esperienza o entità che si autosostentasse ed esistesse separata da me. L’esistenza, il mondo e le entità erano permeate dal vuoto e da me, ma io stesso non avevo esistenza, non c’ero. C’era solo l’osservazione di oggetti che non avevano realtà.

Da quella realizzazione – e ce ne furono altre a seguire – è adesso subito 
visibile che non c’è ego (l’io fantasioso) che possa avere una qualche esperienza, inclusa quella di morire. C’è solo una serie di pensieri, ricordi, sensazioni, immagini che sono legati insieme alla meno peggio nella mente e che nell'insieme creavano la sensazione di un “me”. Quando si è visto chiaramente che questa entità, l’ego, non esiste, dov'è più qualcosa che possa morire? Semplicemente si ride dell’errore di aver creduto che c’era un io, o un ego, e il mondo in primo piano.

Quindi cercare, per qualsivoglia fantasioso motivo, un’esperienza di morte di qualche entità sé è uno sforzo che dev’essere visto con sospetto, in quanto quella persona non vive nel presente, nell’immediatezza dell’adesso.
Come Robert affermò, il sahaja samadhi è meramente un ritorno all’ordinario, ma che è ora riempito dalla meraviglia della straordinarietà e dalla conoscenza che il mondo non esiste e che la mia natura essenziale non è toccata dal mondo, io sono completamente al di là di esso.


Ed






· Postato in italiano su www.itisnotreal.net il 27 settembre 2011
· Titolo originale: The death of the ego
· Testo originale in inglese postato su http://itisnotreal.blogspot.com il giorno 30 aprile 2011
· Traduzione dall’inglese di Sergio Cipollaro
· Le note tra parentesi quadre sono del traduttore