domenica 8 novembre 2015

La Ricerca di Dio

“Porta la totalità del tuo essere alla sua soglia:


porta solo una parte,

e non avrai portato assolutamente nulla.”

(Hakim Sanai)




"La ricerca di Dio deve essere appassionata. Tra tutto ciò che hai ricercato finora – sei stato alla ricerca del denaro, del potere, del prestigio e di mille altre cose – Dio non è mai stato presente nel tuo lungo elenco di desideri. Ma anche se lo mettessi al primo posto di quella lista, anche in quel caso te lo lasceresti sfuggire. Dev'essere la tua unica ricerca. Tutti i tuoi desideri dovrebbero diventare un unico desiderio, tutti i tuoi desideri dovrebbero confluire, come fossero fiumi che si riversano nell'oceano. Dio dovrebbe diventare la tua unica ricerca; solo allora, e solo in quel caso, ecco la rivelazione.


Milioni di persone pensano a Dio, ma non riescono mai a penetrare quel mistero, non riescono mai ad avere un’esperienza reale di Dio. Come mai? Il motivo è semplice: Dio è solo un elemento sulla lista della loro spesa, è solo una delle varie cose… in realtà, quelle persone non sono veramente pronte a essere totalmente devote. E in questo mondo solo una devozione totale ha successo.


Anche nella tua comune vita mondana, quando vedi un grande poeta ne riconosci subito la totale devozione alla sua arte. Per questo è grande; la totalità porta a essere grandi. Tutta la sua vita ha un unico significato, un solo centro, e la sua esistenza ruota intorno a quel centro: la sua arte.


Quando vedi un Van Gogh o un Picasso, riconoscerai che tutta la sua vita non è altro che il suo dipingere. Pittori simili ci pensano, ci meditano, ci sognano, ne sono perennemente affascinati; neppure per un istante si scordano della loro pittura.


Se un pittore cammina per la strada, non vede i volti delle persone come semplici facce: pensa continuamente come dipingerle. Se guarda i fiori, non si limita a guardarli: tutto il suo interesse è come dipingerli. Perfino nei suoi sogni, un grande pittore che veda un sogno a colori vivissimi ha un pensiero che lo accompagna: come dipingerlo? Quel pensiero è il suo stesso respiro, ritma il battito stesso del suo cuore: è ciò che lo rende grande.



Anche nella vita comune, là dove la tua devozione è totale, consegui grandi talenti; dunque, che dire di Dio? Dio è il centro stesso dell’esistenza; puoi avere energia a sufficienza per raggiungerlo solo se metti in gioco tutto ciò che hai. E’ un gioco d’azzardo, non è una questione d’affari: devi rischiare tutto ciò che hai, in un modo o nell'altro, non importa ciò che accadrà. Devi metterti in gioco totalmente!


Inoltre, la storia d’amore con Dio deve essere appassionata, ardente. Non può ridursi a una fredda speculazione filosofica; ma è ciò che accade: molte persone pensano a Dio in modo estremamente freddo; ma Dio è la vita di tutta la vita, è la cosa più calda che ci sia nell'intera esistenza. Non lo potrai mai raggiungere se sei così freddo, così filosoficamente freddo.


Lo scienziato è estremamente freddo, il suo lavoro è uno sforzo libero da qualsiasi passione; fa parte del suo addestramento rimanere distaccato, restare in disparte, non coinvolgersi affatto, non farsi prendere dai suoi esperimenti, restare sempre un osservatore, un outsider, essere assolutamente gelido, analitico.


Il poeta non può essere altrettanto freddo, altrimenti la sua poesia sarà gelida, non avrà alcun respiro; non pulserà affatto di vita. Il poeta si deve coinvolgere.


E il mistico dev'essere coinvolto totalmente. Il poeta è coinvolto solo ogni tanto, per questo solo una volta di tanto in tanto è un poeta; nessun poeta lo è ventiquattrore su ventiquattro. Se lo fosse, sarebbe un mistico; in quel caso la poesia sarebbe la sua preghiera. Se un pittore fosse tale ventiquattrore al giorno, non avrebbe bisogno di un’altra meditazione, non dovrebbe andare in un altro tempio; si può dimenticare totalmente i Veda, le Bibbie e i Corani: ha trovato i suoi Veda, la sua Bibbia, il suo Corano; dipingere è l’essenza di tutto ciò. Se riesce ad essere caldo e appassionato nella sua pittura ventiquattrore al giorno, se può diventare qualcosa che circola in lui, una costante circolazione nel suo essere del tutto simile al sangue che scorre nelle sue vene, allora è un mistico.


Il poeta si appassiona solo una volta ogni tanto; poi ricade nello stato comune al mondo mondano fatto di freddi calcoli, di numeri e cifre; perde il filo della poesia. Ogni tanto quella finestra si schiude ed egli può vedere il sole e la luna e le stesse, ma solo ogni tanto.


Il mistico è un poeta ventiquattrore su ventiquattro. Ricordalo: se veramente vuoi conoscere cos'è il divino che è l’esistenza, dovrai essere assolutamente appassionato; non si tratta di una ricerca scientifica, è una storia d’amore. E’ una questione di vita o di morte; e di fatto non è solo una questione, è una ricerca… non è semplice curiosità, non è un’indagine intellettuale, è una sete esistenziale.


Pensa a un uomo perso in un deserto, assetato. La sua non è una realtà intellettuale: non si preoccupa di quali siano gli elemento che formano l’acqua. Se inizi a tenergli una conferenza senza fine su ciò che compone l’acqua, sulla sua formula chimica, se cerchi di spiegar glene la formula, se gli parli di molecole di idrogeno e di ossigeno, ti salterà addosso e ti ucciderà. Non ha alcun interesse filosofico, nessuna motivazione scientifica; vuole acqua: è una questione di vita e di morte. E tu parli di formule! Come lo potranno mai appagare, come potranno lenire la sua sete?


Allorché la ricerca è appassionata, nessun testo sacro ti può soddisfare. E la gente si accontenta delle scritture solo perché la loro ricerca è falsa, è una pseudo ricerca. Leggono le loro Gita ogni mattina, recitano il loro Corano, perché la loro ricerca è una finzione; se fosse reale, non si accontenterebbero di parole, farebbero qualcosa. Inizierebbero a cercare Dio. Sarebbero pronti a qualsiasi viaggio, per quanto remoto, affronterebbero qualsiasi pellegrinaggio. Sarebbero disposti a rischiare ogni loro sicurezza, ogni garanzia, ogni comodità, ogni convenienza, poiché in quel caso Dio sarebbe la loro unica vita".


- Osho Rajneesh





giovedì 5 novembre 2015

L'insegnamento di Sri Ramana Maharshi

La Natura del Sé

L'essenza degli insegnamenti di Sri Ramana è contenuta nelle sue frequenti asserzioni che c'è una singola realtà immanente direttamente sperimentata da tutti, che è simultaneamente la sorgente, la sostanza e la reale natura di tutto ciò che esiste. Egli le diede numerosi nomi differenti, esprimendo in ciascuno un differente aspetto della stessa indivisibile realtà. La seguente classificazione include tutti i suoi sinonimi più comuni e spiega le implicazioni dei vari termini impiegati.

1 Il Sé. Questo è il termine che egli ha usato più di frequente. Lo ha definito dicendo che il vero Sé o vero "Io", contrariamente all'esperienza percepibile, non è un'esperienza dell'individualità, ma una consapevolezza non personale, onnicomprensiva. Non deve essere confuso col sé individuale, che ha detto essere essenzialmente non esistente, essendo una costruzione della mente che oscura la vera esperienza del Sé reale. Egli asserì che il Sé reale è sempre presente e sempre sperimentato, ma enfatizzò che siamo realmente consapevoli di come è soltanto quando le tendenze autolimitanti della mente sono cessate. La permanente e continua consapevolezza del Sé è conosciuta come auto-realizzazione.

2 Sat-chit-ananda. Questo è un termine Sanscrito che viene tradotto come essere-coscienza-beatitudine. Sri Ramana insegno che il Sé e puro essere, una consapevolezza soggettiva di "Io sono" completamente priva del sentimento Io sono questo" o Io sono quello". Non ci sono soggetti od oggetti nel Sé, c'è soltanto la consapevolezza di essere. Poiché questa consapevolezza è conscia, è chiamata anche coscienza. L'esperienza diretta di questa coscienza è, secondo Sri Ramana, uno stato di ininterrotta felicità, cosi per descriverla viene usato anche il termine Ananda o beatitudine. Questi tre aspetti, essere, coscienza e beatitudine, sono sperimentati come un tutto unico e non come attributi separati del Sé. Sono inseparabili allo stesso modo in cui l'umidità, la trasparenza e la liquidità sono proprietà inseparabili dell'acqua.

3 Dio.  Sri Ramana affermò che l'universo è sostenuto dal potere del Sé. Poiché i teisti normalmente attribuiscono questo potere a Dio, egli usò spesso la parola Dio come sinonimo del Sé.
Allo stesso modo usò anche le parole Brahman, l'essere supremo dell'Induismo, e Shiva, un nome Indù per indicare Dio. Il Dio di Sri Ramana non è un Dio personale, è l'essere senza forma che sostiene l'universo. Non è il creatore dell'universo, l'universo è semplicemente una manifestazione del suo potere intrinseco; egli è inseparabile da esso, ma non è influenzato dalla sua apparizione o dalla sua scomparsa.

4 Il Cuore.  Parlando del Sé, Sri Ramana usò frequentemente la parola Sanscrita hridayam. Solitamente è tradotta come: "il Cuore", ma una traduzione più letterale sarebbe: "questo è il centro". Nell'usare questo termine particolare egli non implicava che ci fosse un particolare luogo o centro per il Sé, stava semplicemente indicando che il Sé è la sorgente da cui sí sono manifestate tutte le apparizioni.

5 Jnana.  L'esperienza del Sé a volte è chiamata jnana o conoscenza. Non si dovrebbe pensare che questo termine significhi che c'è una persona che ha la conoscenza del Sé, perché nello stato di consapevolezza del Sé non c'è un conoscitore localizzato e non c'è nulla di separato dal Sé che possa essere conosciuto.
La vera conoscenza o jnana non è un oggetto di esperienza, né la comprensione di uno stato differente e separato dal soggetto conoscitore; è una conoscenza conscia e diretta di quell'unica realtà in cui i soggetti e gli oggetti hanno cessato di esistere. Chi è stabilito in questo stato è conosciuto come jnani.
6 Turiya e Turyatita.  La filosofia Indù postula tre livelli di coscienza relativa che si alternano veglia, sogno e sonno profondo. Sri Ramana affermò che il Sé è la realtà base che sostiene l'apparizione degli altri tre stati temporanei. A causa di ciò, a volte chiamò il Sé turiya avastha, o il quarto stato. Occasionalmente utilizzò anche la parola turyatita che significa: "trascendente il quarto", per indicare che in realtà non ci sono quattro stati, ma soltanto un unico vero stato trascendente.

7 Altri termini. Sono degni di nota altri tre termini per indicare il Sé. Sri Ramana enfatizzò spesso che il Sé è il proprio reale e naturale stato d'essere e, per questa ragione, occasionalmente impiegò i termini sahaja sthiti, che significa "stato naturale", e swarupa, che significa "forma reale" o "natura reale". Egli usò anche la parola "silenzio" per indicare che il Sé è uno stato silente libero dal pensiero, di pace indisturbata e totale tranquillità.




D: Che cos'è la realtà?

R: La realtà dev'essere sempre reale. Non ha forme e nomi. Ciò che è alla base di questi è la realtà. E' alla base delle limitazioni, essendo in se stessa senza limiti. Non è vincolata. E' alla base delle irrealtà, essendo essa stessa reale. La realtà è ciò che è. E' come è, trascendente il linguaggio. E' al di là delle espressioni "esistenza, non esistenza", eccetera.

Solo la realtà, che è la semplice coscienza che rimane quando l'ignoranza viene distrutta insieme con la conoscenza degli oggetti, è il Sé (atman). In quella Brahma-swarupa (forma reale di Brahman), che è l'abbondante consapevolezza del Sé, non c'è la minima ignoranza. La realtà che risplende pienamente, senza miserie e senza un corpo, non soltanto quando il mondo è conosciuto, ma anche quando il mondo non è conosciuto, è la tua forma reale (nija-swarupa). Lo splendore della coscienza di beatitudine, nella forma di una consapevolezza che risplende ugualmente sia all'interno che all'esterno, è la suprema e beatifica realtà originale. La sua forma è il silenzio e dai jnani è dichiarata essere lo stato finale e non ostruibile della vera conoscenza (jnana).

Sappi che solo jnana è non-attaccamento; solo jnana è purezza; jnana è il conseguimento di Dio; solo jnana, che è priva di dimenticanza del Sé è immortalità; solo jnana è ogni cosa.

D: Che cos'è questa consapevolezza e come la si può ottenere?

R. Tu sei consapevolezza. Consapevolezza è un altro tuo nome. Poiché tu sei consapevolezza non c'è necessità di conseguirla o coltivarla. Tutto ciò che devi fare è rinunciare all'essere consapevole di altre cose, cioè del non-Sé. Se si rinuncia ad essere consapevoli di esse, allora rimane soltanto la pura consapevolezza, e quella è il Sé.

D: Se il Sé è consapevolezza, perché non ne sono consapevole anche ora?

R: Non c'è dualità. La tua conoscenza presente è dovuta all'ego ed è soltanto relativa. La conoscenza relativa richiede un soggetto ed un oggetto, laddove la consapevolezza del Sé è' assoluta e non richiede oggetto. Analogamente, anche il ricordo è relativo, richiedendo un oggetto da ricordare e un soggetto che ricordi. Quando non c'è dualità, chi ricorda e chi viene ricordato?

Il Sé è perennemente presente. Tutti vogliono conoscere il Sé. Di quale tipo di aiuto si ha bisogno per conoscere se stessi? Le persone vogliono vedere il Sé come qualcosa di nuovo. Ma esso è eterno e rimane lo stesso costantemente. Esse desiderano vederlo come una luce fiammeggiante, ecc. Come può essere così? Il Sé non è luce, né oscurità. E' soltanto così com'è. Non può essere definito. La migliore definizione è "io sono quello che sono". Le sruti (scritture) descrivono il Sé come avente la grandezza del proprio pollice, della punta di un capello, di una scintilla elettrica, vasto, più sottile del sottilissimo, ecc. Tutto questo in realtà non ha fondamento. E' soltanto essere, ma diverso dal reale e dall'irreale; è conoscenza, ma differente dalla conoscenza e dall'ignoranza. Come può essere definito? E' semplicemente essere.

D: Quando un uomo realizzerà il Sé, cosa vedrà?

R: Non c'è vedere. Il vedere è soltanto essere. Lo stato dell'autorealizzazione, così come lo chiamano, non è il conseguire qualcosa di nuovo o il raggiungere qualche meta lontana, ma è semplicemente essere quello che si è sempre stati e che sempre si sarà. Tutto ciò di cui avete bisogno è di abbandonare la vostra percezione del non-vero come vero. Tutti noi stiamo considerando reale quello che non è reale. Dobbiamo soltanto rinunciare a questa abitudine. E allora realizzeremo il Sé come Sé; in altre parole: "Sii il Sé". Ad un certo punto riderete di voi stessi per aver voluto cercare di scoprire il Sé che è così auto-evidente. Perciò, cosa possiamo rispondere a questa domanda? Quello stadio trascende sia colui che vede, sia ciò che è visto. Là non c'è veggente a vedere alcunché. Il veggente che ora sta vedendo tutto questo cessa di esistere e rimane soltanto il Sé.

D: Come conoscerlo per esperienza diretta?

R: Se parliamo di conoscere il Sé, ci devono essere due sé, un sé che conosce, un altro sé che è conosciuto ed il processo del conoscere. Lo stato che chiamiamo realizzazione è semplicemente essere se stessi, non conoscere o diventare qualcosa. Se ci si è realizzati, si è solo ciò che si è e si è sempre stati. Non si può descrivere quello stato. Si può solo esserlo. Naturalmente, parliamo in modo inesatto della realizzazione del Sé, in mancanza di un termine migliore. Come "realizzare" o rendere reale quello che soltanto è reale?

D: Qualche volta dici che il Sé è silenzio. Perché?

R: Per coloro che vivono il Sé come bellezza priva di pensiero, non c'è nulla a cui si dovrebbe pensare. Ciò a cui si dovrebbe aderire è solo l'esperienza del silenzio, perché in quello stato supremo non esiste nulla da conseguire al di fuori di se stessi.

D: Che cos'è mouna (silenzio)?

R: Mouna è lo stato che trascende la parola ed il pensiero. Quello che è, è mouna. Come si può spiegare mouna in parole? I saggi dicono che soltanto lo stato in cui il pensiero "Io" (l'ego) non sorge neanche in minima parte, è il Sé (swarupa) che è silenzio (mouna). Solo quel Sé silente è Dio; solo il Sé è il jiva (l'anima individuale). Solo il Sé è questo antico mondo. Tutte le altre conoscenze sono soltanto conoscenze insignificanti e superficiali; solo l'esperienza del silenzio è la reale e perfetta conoscenza. Sappi che le molte differenze oggettive non sono reali, ma semplici sovraimposizioni sul Sé, che è la forma della vera conoscenza.

D: Poiché possiamo osservare ovunque che i corpi ed i sé che li animano sono effettivamente innumerevoli, come si può affermare che il Sé e soltanto uno?

R: Se viene accettata l'idea "Io sono il corpo", i sé sono molteplici. Lo stato in cui questa idea svanisce è il Sé, poiché in quello stato non ci sono altri oggetti. E' per questa ragione che il Sé è considerato come uno soltanto. Poiché il corpo stesso non esiste nella prospettiva naturale del vero Sé, ma esiste soltanto nel modo di vedere estroverso della mente che è oscurata dal potere dell'illusione, chiamare dehi (il possessore del corpo) il Sé, lo spazio della coscienza, è errato. Il mondo non esiste senza il corpo, il corpo non esiste mai senza la mente, la mente non esiste mai senza coscienza e la coscienza non esiste mai senza la realtà. Per il saggio che ha conosciuto il Sé immergendosi all'interno di se stesso, non c'è nulla da conoscere al di fuori del Sé. Perché? La risposta è che poiché l'ego, che identifica la forma di un corpo come "io" è perito, egli (il saggio) è l'esistenza-coscienza senza forma. Il jnani (colui che ha realizzato il Sé) sa di essere il Sé e che nulla, né il suo corpo né nient'altro, esiste all'infuori del Sé. Per una tale persona quale differenza potrebbe comportare la presenza o l'assenza di un corpo?

E' falso parlare di realizzazione. Cosa c'è da realizzare? Il reale è com'è sempre. Noi non creiamo nulla di nuovo né raggiungiamo qualcosa che in precedenza non avevamo. L'esempio dato nei libri è questo. Scaviamo un pozzo e creiamo un'enorme buca. Lo spazio nella buca o il pozzo non è stato creato da noi. Noi abbiamo semplicemente rimosso la terra che riempiva lo spazio. Lo spazio era già là ed è là anche ora. Allo stesso modo dobbiamo semplicemente gettare via tutti gli eterni samskara (tendenze innate) che sono all'interno di noi. Quando saranno state abbandonate tutte, il Sé brillerà, solo.

D: Ma come fare questo e conseguire la liberazione?

R: La liberazione è la nostra stessa natura. Noi siamo quello. Il fatto stesso che desideriamo la liberazione mostra che la libertà da ogni schiavitù è la nostra vera natura. Non è qualcosa di nuovo da acquisire. Tutto ciò che è necessario è liberarsi della falsa nozione di essere vincolati. Quando raggiungeremo quello, non ci sarà nessun desiderio o pensiero di alcun tipo. Fino a che sì desidera la liberazione, fino ad allora, puoi crederci, si è in schiavitù.

D: Si dice che chi ha realizzato il suo Sé non ha i tre stati di veglia, sogno e sonno profondo. E'vero?

R: Cosa ti fa dire che non hanno i tre stati? Dicendo: "io ho avuto un sogno; io ero profondamente addormentato; io sono sveglio", devi ammettere che tu eri là in tutti i tre stati. Ciò rende chiaro che eri presente per tutto il tempo. Se rimani come sei ora, sei nello stato di veglia; questo viene nascosto nello stato di sogno; e lo stato di sogno scompare quando sei nel sonno profondo. Eri là allora, sei là ora, e sei là in ogni momento. I tre stati vanno e vengono, ma tu sei sempre presente. E' come al cinema. Lo schermo è sempre là, ma su di esso appaiono molti tipi di immagini e quindi scompaiono. Nulla si attacca allo schermo, esso rimane uno schermo. Allo stesso modo, tu rimani il tuo stesso Sé in tutti e tre gli stati.

Se conosci questo, i tre stati non ti daranno fastidio, proprio come le immagini che appaiono sullo schermo non si attaccano ad esso. Sullo schermo, qualche volta vedi un enorme oceano con onde senza fine; tutto ciò scompare. Un'altra volta vedi del fuoco che si propaga tutt'attorno; anche questo scompare. Lo schermo è presente in entrambe le occasioni. Forse che lo schermo è rimasto bagnato dall'acqua o bruciato dal fuoco? Nulla influenza lo schermo. Allo stesso modo, le cose che accadono durante gli stati di veglia, sogno e sonno non ti influenzano affatto, tu rimani il tuo proprio Sé.

D: Ciò significa che, sebbene le persone abbiano tutti i tre stati, veglia, soglio e sonno profondo, questi non le influenzano?

R: Sì, è cosi. Tutti questi stati vanno e vengono. Il Sé non è disturbato; ha soltanto uno stato.

D: Ciò significa che una tale persona sarà in questo mondo solamente come un testimone?

R: E' così; proprio per questa ragione, Vidyaranya, nel decimo capitolo del Panchadasi, dà come esempio la luce che è accesa sul palcoscenico di un teatro. Quando viene recitato un dramma, la luce illumina senza alcuna distinzione tutti gli attori, che siano re, servi o danzatori ed illumina anche tutto il pubblico. Quella luce sarà presente prima che il dramma cominci, durante la sua esecuzione ed anche quando la recitazione è terminata. Allo stesso modo, la luce interiore cioè il Sé, dona luce all'ego, all'intelletto, alla memoria e alla mente senza essere essa stessa soggetta ai processi di crescita e decadimento. Sebbene durante il sonno profondo e gli altri stati non ci sia la sensazione dell'ego quel Sé rimane senza attributi e continua a brillare da se stesso.

In realtà, l'idea del Sé come testimone è soltanto nella mente: non è la verità assoluta del Sé. La testimonianza è in relazione agli oggetti testimoniati. Sia il testimone che il suo oggetto sono creazioni mentali.

D: In che modo i tre stati di coscienza sono inferiori nel grado di realtà al quarto (turiya). Quale è l'effettiva relazione tra questi tre stati ed il quarto?

R: C'è soltanto uno stato, quello della coscienza o consapevolezza o esistenza.
I tre stati di veglia, sogno e sonno non possono essere reali. Essi semplicemente vanno e vengono. Il reale esisterà sempre. Solo I"'io" o esistenza che persiste in tutti i tre stati è reale. Gli altri tre non sono reali e cosi non è possibile dire che essi hanno un tale o tal altro grado di realtà. Possiamo metterla approssimativamente in questo modo. L'esistenza o coscienza è la sola realtà. Coscienza più veglia, la chiamiamo veglia. Coscienza più sonno la chiamiamo sonno. Coscienza più sogno la chiamiamo sogno. La coscienza è lo schermo su cui tutte le immagini vanno e vengono. Lo schermo è reale, le immagini sono semplici ombre su di esso. A causa della radicata abitudine che abbiamo di considerare questi stati come reali chiamiamo lo stato di semplice consapevolezza o coscienza "il quarto". Non c'è comunque alcun quarto stato; ma soltanto uno stato. Non c'è differenza tra lo stato di sogno e lo stato di veglia eccetto che il sogno è corto e la veglia lunga. Entrambi sono il risultato della mente. Poiché lo stato di veglia è lungo, immaginiamo che sia il nostro vero stato. Ma, in realtà, il nostro vero stato è il turiya o quarto stato, che è sempre così com'è e non sa nulla dei tre stati di veglia, sonno o sogno. Poiché chiamiamo questi tre avastha (stati) allora chiamiamo anche il quarto stato turiya avastha. Ma non è un avastha, è il vero e naturale stato del Sé. Quando questo è realizzato, veniamo a sapere che non è un turiya o quarto stato, poiché un quarto stato è soltanto relativo ma è turyatita, lo stato trascendente.

D: Perché questi tre stati dovrebbero andare e venire nello stato reale o sullo schermo del Sé?

R: Chi pone questa domanda? E' il Sé che dice che questi stati vanno e vengono? E' il veggente che dice che essi vanno e vengono. Il veggente ed il visto, insieme costituiscono la mente. Guarda se c'è una tal cosa come la mente. Allora la mente sì fonde nel Sé, e non c'è più né il veggente, né il visto. Così la reale risposta alla tua domanda è: "essi non vengono, né vanno". Solo il Sé rimane perennemente così com'è. I tre stati devono la loro esistenza alla non-indagine e l'indagine pone fine ad essi. Per quanto si possa spiegare, il fatto non diverrà chiaro finché non si consegue la realizzazione del Sé e ci si meraviglia di come si è stati ciechi cosi a lungo dell'unica ed autoevidente esistenza.

D: Quale è la differenza tra la mente ed il Sé?

R: Non c'è differenza. La mente rivolta all'interno è il Sé; rivolta all'esterno diventa l'ego e tutto il mondo. Il cotone intessuto in vari panni lo chiamiamo con vari nomi. L'oro forgiato in vari ornamenti lo chiamiamo con vari nomi. Ma tutti i panni o vestiti sono cotone e tutti gli ornamenti oro. L'uno è reale, i molti sono semplici nomi e forme. La mente non esiste separata dal Sé; cioè, essa non ha esistenza indipendente. Il Sé esiste senza la mente, la mente mai senza il Sé.

D: Brahman è detto essere sat-chit-ananda. Cosa significa?

R: Si. E' così. Ciò che è, è soltanto sat. Quello è chiamato Brahman. Lo splendore di sat è chit e la sua natura è ananda. Questi non sono differenti da sat. Tutti e tre assieme sono conosciuti come sat-chit-ananda.

D: Poiché il Sé è esistenza (sat) e coscienza (chit) quale è la ragione di descriverlo come differente dall'esistente e dal non-esistente, dal senziente e dall'insenziente?

R: Sebbene il Sé sia reale, poiché comprende ogni cosa non lascia spazio a questioni che implicano dualità circa la sua realtà o irrealtà. Perciò è detto essere differente dal reale e dall'irreale. Analogamente, anche se è coscienza, poiché per esso non c'è nulla da conoscere e nulla da cui farsi conoscere, è detto essere differente dal senziente e dall'insenziente.

Sat-chit-ananda si dice indichi che il Supremo non è asat (differente dall'essere), non è achit (differente dalla coscienza) e non è ananda (differente dalla felicità). Poiché siamo nel mondo fenomenico parliamo del Sé come sat-chit-ananda.

D: In che senso la felicità, o beatitudine (ananda), è la nostra vera natura?

R: La perfetta beatitudine è Brahman . La perfetta pace è del Sé. Esiste soltanto quello ed è coscienza. Ciò che viene chiamato felicità è solo la natura del Sé; il Sé non è altro che perfetta felicità. Ciò che è chiamato felicità è la sola esistenza. Sapendo ciò e dimorando nello stato del Sé, gioisci eternamente la beatitudine. Se un uomo pensa che la sua felicità sia dovuta a cause esterne ed ai suoi possessi, è ragionevole concludere che la sua felicità deve aumentare con l'aumentare dei possessi e diminuire in proporzione alla loro diminuzione. Perciò se egli è privo di possessi, la sua felicità dovrebbe essere nulla. Quale è la reale esperienza dell'uomo? E' conforme a questa visione?

Nel sonno profondo l'uomo è privo di possessi, incluso il suo stesso corpo. Invece di essere infelice è del tutto felice. Tutti desiderano dormire profondamente. La conclusione è che la felicità è inerente all'uomo e non è dovuta a cause esterne. Al fine di aprire il deposito della pura felicità si deve realizzare il Sé.

D: Sri Bhagavan parla del cuore come la sede della coscienza e come identico al Sé. Cosa significa esattamente il Cuore?

R: Chiamatelo con qualunque nome: Dio, Sé, Cuore o sede della coscienza, è la stessa cosa. Il punto da afferrare è questo: Cuore significa il vero nucleo del proprio essere, il centro, senza il quale non c'è nulla di nulla.

Il Cuore non è fisico, è spirituale. Hridayam equivale a hrit più ayam; ciò significa: "Questo è il centro". E' quello da cui sorgono i pensieri, sul quale sussistono e nel quale si dissolvono. I pensieri sono il contenuto della mente e formano l'universo. Il Cuore è il centro di tutto. Nelle Upanishad, quello da cui gli esseri vengono in esistenza è detto essere Brahman. Quello è il Cuore. Brahman è il Cuore.

D: Come realizzare il Cuore?

R: Non c'è nessuno che manchi di sperimentare il Sé neanche per un momento. Poíché nessuno ammette di essere separato dal Sé. Noi siamo il Sé. Il Sé è il Cuore. Il Cuore è il centro da cui sorge ogni cosa. Poiché vedi il mondo, il corpo e così via, si dice ci sia un centro per questi che è chiamato il Cuore. Quando sei nel Cuore, scopri che il Cuore non è il centro né la circonferenza. Non c'è nulla all'infuori di esso. Solo la coscienza, che è vera esistenza e non vaga all'esterno a conoscere quelle cose che sono diverse dal Sé, è il Cuore. Poiché la verità del Sé è conosciuta soltanto da quella coscienza, che è priva di attività, lo splendore della chiara conoscenza è soltanto quella coscienza che si occupa sempre esclusivamente del Sé. 




Indagine sul Sé - Pratica

Ai principianti dell'autoindagine veniva consigliato da Sri Ramana di porre l'attenzione sul sentimento interiore di "io" e di trattenere quel sentimento il più a lungo possibile. Veniva detto loro che se l'attenzione veniva distratta da altri pensieri dovevano tornare alla consapevolezza del pensiero "io" ogni volta che diventavano consapevoli che la loro attenzione aveva divagato. Egli suggerì diversi metodi per favorire questo processo - ci si poteva chiedere: "Chi sono io?", oppure: "Da dove viene questo io?"- ma lo scopo ultimo era di essere continuamente consapevoli dell'"io" che presume di essere responsabile di tutte le attività del corpo e della mente.

Nei primi stadi della pratica, I'attenzione al sentimento "io" è un'attività mentale che prende la forma di un pensiero o una percezione. Man mano che la pratica si sviluppa, il pensiero "io" lascia spazio ad un sentimento dell'"io" sperimentato soggettivamente e quando questo sentimento cessa di collegarsi e identificarsi con i pensieri e gli oggetti, svanisce completamente. Ciò che rimane è un'esperienza di essere in cui il senso dell'individualità ha temporaneamente cessato di funzionare. L'esperienza all'inizio può essere intermittente, ma con la pratica ripetuta diventa sempre più facile da raggiungere e mantenere. Quando l'autoindagine raggiunge questo livello c'è una consapevolezza senza sforzo di essere in cui lo sforzo individuale non è più possibile poiché l'"io" che compie lo sforzo ha temporaneamente cessato di esistere. Non è la realizzazione del Sé, perché il pensiero "io" periodicamente riafferma se stesso, ma è il più alto livello della pratica. La ripetuta esperienza di questo stato di essere indebolisce e distrugge le vasana (tendenze mentali) che fanno sorgere il pensiero "io", e quando la loro presa è stata sufficientemente indebolita, il potere del Sé distrugge le tendenze residue così completamente che il pensiero "io" non sorge mai più. Questo è il finale ed irreversibile stato della realizzazione del Sé.

Questa pratica di autoattenzione, o consapevolezza del pensiero "io", è una tecnica facile che supera gli usuali metodi repressivi per controllare la mente. Non è un esercizio di concentrazione, né mira a sopprimere i pensieri; fa semplicemente appello alla consapevolezza della sorgente da cui la mente ha origine. Il metodo e la meta dell'autoindagine è di dimorare sulla sorgente della mente, di essere consapevoli di ciò che si è realmente ritirando l'attenzione e l'interesse da ciò che non si è. Negli stadi iniziali lo sforzo nel trasferire l'attenzione dai pensieri al pensatore è essenziale, ma una volta che la consapevolezza del sentimento dell'"io" è stata fermamente stabilita, ulteriore sforzo è controproducente. Da allora è più un processo di essere che di fare, di essere senza sforzo piuttosto che uno sforzo per essere.

Essere ciò che già si è, è privo di sforzi poiché l'esistenza è sempre presente e sempre sperimentata. D'altra parte, pretendere di essere ciò che non si è (il corpo e la mente) richiede uno sforzo mentale continuo, anche se lo sforzo è quasi sempre ad un livello inconscio. Ne segue perciò che nei più elevati stadi dell'autoindagine lo sforzo allontana l'attenzione dall'esperienza dell'essere mentre la cessazione dello sforzo mentale la rivela. Alla fine il Sé non viene scoperto come risultato del fare qualcosa, ma soltanto essendo. Come Sri Ramana stesso una volta osservò:
"Non meditare-sii! "
"Non pensare di essere-sii!"
"Non pensare all'essere-tu sei!"

L'autoindagine non dovrebbe essere considerata una pratica di meditazione da eseguire a certe ore e in certe posizioni; dovrebbe continuare durante tutte le ore della veglia, indipendentemente da ciò che si sta facendo. Sri Ramana non vedeva conflitto tra il lavoro e l'autoindagine ed affermava che con un po' di pratica poteva essere eseguita in qualunque circostanza. Qualche volta affermò che periodi regolari di pratica formale erano benefici per i principianti, ma non patrocinò mai lunghi periodi di meditazione in posizione seduta e mostrò sempre la sua disapprovazione se qualcuno dei suoi devoti esprimeva il desiderio di abbandonare le attività mondane in favore di una vita meditativa.