domenica 25 ottobre 2015

Sull'illuminazione

Oggi voglio proporre un discorso un po' tecnico, forse per pochi, sul significato della parole: "Risveglio", "Realizzazione" e "Illuminazione" 
Sono termini molto usati ai giorni nostri in tema spirituale e talvolta, secondo me, anche un po' "abusati". 
Siccome le parole per me sono importanti, in quanto veicolano un senso, un significato e un'energia specifica, penso sia giusto chiarificarle e contestualizzarle con quanta più onestà - intellettuale e non - possibile. 
Non sono uno studioso accademico, né un pozzo di sapienza e conoscenza, né ho la verità in mano. Nel mio piccolo, provo a dare il mio contributo.

Ho passato anni cercando di capirci qualcosa, e poi a mettere in pratica quello che pensavo di aver capito. Se avete letto il post "La mia storia", poco sotto, già lo sapete. 
Lungo l'arco di questo processo, in un primo momento definire con precisione cosa indicassero queste misteriose parole mi risultò un poco ostico. Progressivamente, dopo un lungo lavoro di comparazione dei testi e di studio, ascoltando il mio sentire e l'intuizione, divenne tutto un po' più chiaro e giunsi alla mia personale decodificazione e comprensione.
Va detto e rimane che andiamo a trattare uno dei più grandi misteri dell'umanità, in senso spirituale. Il mio approccio è in questo senso assolutamente rispettoso e consapevole, nonché passabile di errore. 

 
Sulla parola "Illuminazione". 
Io ho sempre pensato che fosse il massimo risultato a livello spirituale raggiungibile sulla Terra, una parola da usare solo nel caso di un Vero Maestro, di quelli che hanno trasceso completamente le leggi della Terra per come noi le intendiamo. 
Si e no.
- No, perchè questa parola è usata in ambiti differenti, in contesti diversi, da tradizioni e scuole diverse. Ci sono diversi tipi di Illuminazione, diversi livelli e diversi tipi di conseguimenti, o realizzazioni. 
C'è il serio rischio di perdersi, e di non capirci più nulla. Chiedersi "si, ma io come faccio ad arrivare lì" e "che cos'è questo 'lì' " è assolutamente normale, soprattutto se vi interessate di diverse tradizioni spirituali. Non ce n'è una che sia uguale all'altra, anche se tutte parlano della stessa cosa.
Questo ci fa capire che l'illuminazione non è una, ma sono tante. Prima di tutto.

- Si, nel senso che nell'ambito delle due tradizioni con cui io ho personalmente ho avuto più affinità negli ultimi anni - Advaita Vedanta e Buddhismo Vajrayana - questa parola denota esattamente il massimo raggiungimento umano a livello spirituale, in particolare nella seconda.
Su questa pagina trovate un articolo di Giuseppe Baroetto, studioso e curatore di diversi importantissimi testi della linea tibetana, che spiega un po' come stanno le cose mettendo anche in discussione le argomentazioni usate da diversi insegnanti della corrente Non Duale dei giorni nostri.

Intendiamoci, a me piacciono Gangaji, Avasa, e tutti gli altri insegnanti moderni (anche se alcuni non li conosco) che vengono citati nel film documentario del quale viene fatta la recensione. E' molto utile e ispirante, spesso, quello che traspare dalle loro parole. Ma non è tutto qua. Questo è il punto che andremo a considerare.
Tutti questi maestri sono arrivati a un conseguimento importante, cioè la disidentificazione stabile dall'io personale, ma NON all'illuminazione come viene intesa dalle tradizioni spirituali più importanti e avanzate al mondo.

Per essere molto chiari, io penso che il buddhismo vajrayana (o tibetano) sia la tradizione che riassume tutta la scienza dello spirito e la porta al suo massimo compimento.
Il problema è che non è per tutti, sebbene comunque in molti la seguano.
Con lo sdoganamento dello Dzogchen (anche se non completo) e delle linee di Mahamudra degli ultimi anni, con molti maestri tibetani che vengono a insegnare in occidente, corsi, libri e quant'altro, abbiamo a disposizione la summa dell'insegnamento più elevato del buddhismo. Ma non è automatico che lo si riesca a far proprio.

Bisogna partire da dove si è, come mi piace dire. E capire anche cosa ci può essere utile, in questo momento.
Nella mia pagina, L'Unico Punto su facebook, cerco di fare un distillato di tutta questa conoscenza della varie tradizioni, operandone una sintesi che possa indicare il più possibile i punti da scardinare per trovare e riconoscere Chi Siamo. Cerco di portare delle chiavi di comprensione, che possano far aprire quell'unica porta che merita davvero tutta la nostra attenzione.
E' la stessa cosa che ho fatto lungo il mio percorso personale, andando a all'essenziale e oltre l'apparente sofisticazione, andando a "spremere" gli insegnamenti, attingendo quello che A ME sentivo serviva in quel momento, quello con cui risuonavo.
Cerco di fare qualcosa di simile, come attitudine, a quello che ha fatto Osho, con i suoi tremila libri su tutti gli argomenti delle più importanti tradizioni che trattano di illuminazione: una sincretizzazione e una sintesi dei punti specifici, che portino efficacemente e in maniera semplice alla corretta comprensione.
Osho allora era illuminato? Si, per come la potrebbe intendere una buona dozzina di tradizioni spirituali. Se vado però a chiedere a un maestro tibetano, probabilmente mi dirà che quella realizzata da Osho non è l'illuminazione finale.

I maestri tibetani, avevano (e hanno ancora presumo) uno strano modo per proclamare qualcuno illuminato: doveva dimostrare di essere in possesso dei segni della sua illuminazione e manifestare le siddhi (poteri spirituali o capacità paranormali) che dimostravano che era in possesso di tutte le sue facoltà latenti e al di là della materia.
Nei casi più eclatanti - avviene anche oggi se andate a cercare - certuni hanno realizzato il "corpo di arcobaleno", cioè il conseguimento massimo raggiungibile per un'anima sulla Terra. Questo tipo di realizzazione si classifica in 4 o 5 stadi: ai primi, il cadavere dell'interessato dopo la morte fisica si rimpicciolisce fino a diventare di poche decine di centimetri; questo è uno dei segni di una grande anima che si è illuminata.
Nel corpo di arcobaleno al suo stadio più elevato - quelli che ci sono arrivati nella storia documentata si contano sulle dita di una mano - il maestro può smaterializzarsi e può operare quella che si chiama "ascensione al cielo" con un corpo fisico. A qualcuno di voi sicuramente ricorderà gli insegnamenti dei Maestri Ascesi.
Questo per la tradizione tibetana.

Poi abbiamo i maestri di oggi, nella corrente Advaita o Non-dualità (in occidente), che hanno senza dubbio, secondo me, la comprensione di cui parlano. Ma che, a conti fatti, non sono ancora giunti alla realizzazione suprema così come decodificata dai grandi maestri della storia: Ramana Maharshi, Papaji e Nisargadatta, parlando solo di quelli recenti. L'articolo citato sopra parla un po' anche di questo.
Questa realizzazione non coincide con quella del buddhismo tibetano. Non ci sono corpi di arcobaleno nell'Advaita, tranne che per un'unica testimonianza del 1800 in India che ora dovrei andare a ripescare. Ma al di là di questo, sono due tipi di realizzazioni che sono e rimangono diverse.

Nell'Advaita, una volta trovato e stabilizzato l'Atman (cioè la Sorgente dell'Io), attraverso un metodo come ad esempio l'autoindagine (atma vichara), si ha la consumazione e il riassorbimento delle impressioni latenti (vasana), fino a che non si giunge allo stadio finale, dove dell'ego non rimane più alcuna traccia. A quel punto si parla di "Liberazione", o di "liberazione in vita" (jivanmuktiviveka).
Vi sono vari tipi di samadhi (l'unione del meditante con l'oggetto della meditazione, che è il Sè in questo caso) che si possono manifestare nell'aspirante, che riassunti dagli insegnamenti di Ramana Maharshi sono:


1) Sahaja nirvikalpa samadhi.
Questo è lo stato del 'jnani' (pronuncia: "jani"; colui che possiede la conoscenza dell'Assoluto, NdR) che ha definitivamente e irrevocabilmente eliminato il suo ego. 'Sahaja' significa “naturale” e 'nirvikalpa' significa “nessuna differenza”. Un jnani in questo stato è in grado di agire naturalmente nel mondo, proprio come fa qualunque ordinaria persona. Sapendo di essere il Sé, il 'sahaja jnani' non vede differenze fra sé e gli altri e nessuna differenza fra se stesso e il mondo. Per una tale persona, ogni cosa è una manifestazione dell'invisibile Sé.

2) Kevala nirvikalpa samadhi.
Questo è lo stato che precede la realizzazione del Sé. In questo stato c'è una consapevolezza del Sé temporanea, ma priva di sforzo; però l'ego non è stato eliminato definitivamente. E' caratterizzato da un'assenza di coscienza corporea. Sebbene in questo stato si abbia una temporanea consapevolezza del Sé, non si è in grado di percepire le informazioni sensoriali o di funzionare nel mondo. Quando la coscienza corporea torna, l'ego riappare.

3) Savikalpa samadhi.
In questo stato particolare, la consapevolezza del Sé viene mantenuta dallo sforzo costante. La continuità del samadhi dipende totalmente dallo sforzo compiuto per mantenerlo. Quando l'attenzione sul Sé vacilla, la consapevolezza del Sé viene a essere oscurata. 


(Per approfondire e avere una visione d'insieme vedi anche Che cos'è la Liberazione?)


Altri danno una classificazione differente, usando solo i termini "nirvikalpa" e "sahaja" come distinti.
Va da sè che se non si è in assorbimento nel Sè, non c'è nessun samadhi e nessuna liberazione, in quanto questi ultimi sono intimamente correlati.
L'unione con tutte le cose, tra soggetto e oggetto, è l'aspirazione più profonda dell'essere umano e prende anche il nome di Amore.
Quando si parla dell'aspetto incondizionato di Amore, si parla di questo. Possiamo accomunarlo al samadhi. 


Tale tipo di comprensione, fusione e consapevolezza si può situare nell'ambito del cammino dei dieci bhumi del bodhisattva nel Buddhismo Mahayana, cioè le "terre" o gli "stadi" che egli o ella deve attraversare nel suo percorso spirituale per divenire un buddha perfetto.

Sebbene si parli di realizzazione, livelli e quant'altro, che idealmente rappresenterebbero un obbiettivo di miglioramento o qualcosa su cui dover lavorare, in realtà non c'è niente di tutto ciò. Non nella forma che comunemente pensiamo. 
Tutte le vie sono "negative", nel senso che si tratta di togliere, più che di aggiungere. Lasciar andare sempre più strati di tensioni, pesantezze, credenze, pensieri ed emozioni; abbandonare e abbandonarsi, per arrivare a sprofondare direttamente nel Cuore, che è là dove dimora il Sè. 
Raggiungere il samadhi, significa morire a quello che si è o che si pensa di essere; per questo motivo non va proprio a genio, istintivamente, alla maggior parte delle persone. Superato questo scoglio più e più volte, si arriverà certamente a qualche risultato, se si persevera. Quello che si scopre infine sono una bellezza, una gioia e una pace mai provate, al di là di quello che può offrire il mondo intero.

Personalmente, parlo di "fine della ricerca", "realizzazione" o "risveglio", intendendo il riconoscimento del Sè e il distacco dall'ego. Quest'ultimo rimane inizialmente, sebbene in una forma completamente diversa e dilatata, dovuta al radicale cambiamento di prospettiva e punto di vista. La via e la vita però continuano, anche se non si tratta di un vero e proprio "andare avanti". N
on c'è più un andare verso o un realizzare, ma piuttosto un "approfondire".  Gli insegnanti e i maestri di oggi, indicano e si fanno portavoce proprio di questo conseguimento, che è forse il più importante verso l'illuminazione finale. Solo che in molti, in qualche modo, pensano che la cosa finisca lì, e questa convinzione pone un limite là dove non ci dovrebbe essere.

Per concludere, a mio parere, il Risveglio non coincide con l'Illuminazione, ma può essere definito uno stadio di Illuminazione. Sebbene questo termine vari da contesto a contesto, come già ampiamente spiegato lungo tutto l'arco del discorso, per quanto mi riguarda se ne può parlare solo in casi che rimangono rari.
Non che il Risveglio sia (ancora) così popolare. Sono in pochi a conseguirlo, ma aumenteranno in numero col passare del tempo, molto probabilmente.
Alla fine di tutto questo discorso molto tecnico, tenete comunque presente che tutto questo è alla portata di tutti quelli che ne riconoscono il senso e l'importanza per sè stessi e la propria vita, che lo sentono profondamente: si tratta solo di crederci e volerlo.
E semplificare, il più possibile. Questo anche per tagliare fuori un la mente ordinaria, che non serve allo scopo, se non in qualità di agente discriminante. 
Non c'è niente di difficile, si tratta soltanto di rischiare ad andare a una certa profondità, là dove quasi nessuno si spinge, per trovare il vero tesoro della saggezza nascosta, nel santuario del Cuore. 

Vi saluto con la versione "cosmica" della comprensione del processo di illuminazione. La citazione appartiene a un Maestro di quinta dimensione che ha già trasceso completamente la materia, molto tempo fa:

"La perfezione è uno stato dell'essere che si espande all'infinito. 
Non importa che grado di perfezione si raggiunga: c'è sempre un maggiore livello di apertura e di espansione.
Questo è ciò che rende magico il processo di illuminazione".
(Ahnahmar)
- Dai libri di Telos, di Aurelia Louise Jones







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Aggiornamento del 6 novembre:



Ho trovato questo articolo molto interessante, un dialogo tra Andrew Cohen e Ken wilber che espande ulteriormente il concetto e l'esperienza dell'Illuminazione. 

Lo trovate qui: 




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Qui potete trovare un articolo dove Adyashanti racconta la sua esperienza del Risveglio, suddividendola in tre diversi stadi. Una modalità insolita e atipica rispetto ai testi tradizionali, che può però gettare luce sui diversi risvolti e sull'esperienza diretta dello stato risvegliato.

   

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